Articolo del 20 marzo 2018

Pranayama – BAHINI MUDRA

BAHINI MUDRA: SCOPRIRE IL COSMO

“…l’assorbimento e l’accumulo del prana sono sotto il controllo del pensiero, perché è questo che regge la pratica del Pranayama”.

Andre Van Lysebeth – Pranayama. La dinamica del respiro – pag. 56


Interessante lo sviluppo scoperto lavorando su Bahini Mudra. L’abbiamo studiato per andare a evidenziare il lavoro del diaframma con riferimento alla respirazione toracica. Senza dubbio c’è molto di più. L’attenzione al perineo, ad esempio, consente di ancorarsi a terra e al contempo creare una stabilità, una sorta di punto di appoggio cui aggrapparsi per non vacillare. Muladhara è lì, la nostra base sicura, il riconoscimento di una radice che mi assicura a Madre Terra. Il punto di partenza mi dice che c’è sempre anche un luogo dove tornare. Con Bahini Mudra l’esperienza è molto forte, nell’apparente semplicità del gesto sta tutta la profondità della concentrazione. Come viene affermato anche dai maestri, tutto ciò che appare semplice in realtà richiede molta più attenzione. Le braccia aderenti al busto mi rammentano il profilo delle coste, tutti i punti, dove il mio diaframma si aggancia come un velo sottile ma tenace, resistente. Sto quasi a sigillare le mie costole senza però impedire la loro espansione. Con l’attivazione del perineo che mi porta verso l’alto gli organi addominali e con il lavoro tonico della muscolatura addominale, consento di fare una piccola barriera all’espansione della pancia, così consento alla gabbia toracica di esprimersi al meglio in espansione. Fin qui si tratta di meccanismo fisico. Con un po’ di attenzione e di propriocezione corporea si riesce a svolgere l’esercizio. Perché è di un esercizio che stiamo parlando, dove si evidenzia l’osservazione attenta e dall’interno dei miei meccanismi corporei e fisiologici.


UN FUOCO CHE ATTRAVERSA

Attivando tutto quanto sopra descritto, osservando il normale sottile movimento che attraversa le braccia e fa allargare impercettibilmente gli avambracci, lentamente ci si mette in sintonia con un calore crescente al centro del petto. Le costole si allargano per la meccanica creata ma il fulcro al centro dello sterno fa il resto. Il respiro/vaju pian piano inonda lo spazio che si è creato tra le mani e il petto ed è lì che accade qualcosa. Una forza centripeta e centrifuga allo stesso tempo, un’onda che parte e torna al centro del petto al ritmo del respiro. Continuando nella pratica la sensazione è di una nuvola che sull’inspiro, si fa più grande e un po’ più densa e spinge le mani verso l’esterno e sull’espirazione si rapprende un pochino portando la consapevolezza a quel punto al centro del petto.
Continuando a praticare, il punto al centro del petto non è più tale, si espande per ogni dove e il calore sembra uscire dalla schiena, da quel punto tra le scapole che immagino corrispondente al kanda del petto.
A un tratto ho avvertito nitidamente una sorta di attraversamento, da avanti a dietro e viceversa, immagino un intenso raggio di luce o di fuoco. Forse quello che Van Lysebeth chiama “somma delle energie universali” (pag 14) chissà.
Intanto ogni giorno mi accorgo che la ripetizione di un asana è motivo di scoperta su di me e sul mondo.