Mi chiama la mamma di una bimba di sei anni, è molto preoccupata perché sua figlia non vuole in alcun modo indossare un abitino, predilige i pantaloni e si ostina a giocare con giochi “da maschio”. La mamma è preoccupata perché, dice, teme che la figlia abbia la disforia di genere.
La positività della rete è quella di aprire il mondo, di avere tutte le informazioni a portata di mano di chiunque, il suo limite però è quello di non consentire alle persone di avere le corrette informazioni. Sovente capita che la persona, digitando alcune parole chiave, si imbatta in un mondo di notizie moltissime delle quali non corrette o superficiali se non addirittura sbagliate.
La rete si lascia “scrivere”, così capita che un blog “farlocco” ti dica che se tua figlia si veste da maschio è probabile che abbia la disforia di genere.
A questa madre è capitato proprio questo, si è imbattuta in questa frase e ora non le esce più dalla testa. Ma…sarà pericolosa? Mia figlia diventerà una lesbica? Mi dovrò vergognare di lei? Vorrà cambiare sesso? Tanta carne al fuoco, non è stato facile mettere i puntini sulle i.
Ho cercato di rassicurare la signora dicendo che a sei anni è abbastanza frequente che una bambina desideri sperimentarsi con giochi diversi da quelli abitualmente proposti alle bambine, oggi per fortuna si è abbastanza aperti alla sperimentazione e gli stereotipi di genere relativi ai giochi si stanno superando. Il termine che ha poi utilizzato, “disforia di genere” è una patologia che ha ben poco a che vedere con la voglia di indossare i pantaloni al posto della gonna.
Ho proposto di lasciare libertà di scelta alla piccola, magari proponendo il vestitino per una festa speciale, ma lasciando che la piccola si esprima in questo momento di crescita sperimentandosi come desidera. Importante è non indossare l’occhiale che vede la diversità come qualcosa di terribile. Ho detto alla signora di non fasciarsi la testa e di stare serenamente a osservare i giochi e le esplorazioni della figlia.
Un paio di mesi dopo mi ha richiamato, la signora ha adottato la tecnica dell’osservazione da lontano senza intervenire e mi ha confessato che è stata la bambina a chiedere una gonnellina particolare da indossare alla festa di compleanno della sua amichetta, “perché anche Lucilla ce l’ha e mi piace tanto”.
Allarme passato? Ansia gestita e la bambina si è sentita serenamente libera di giocare come voleva e di vestire senza giudizi o sguardi apprensivi sopra di sé.Gender fluid o disforia di genere? Una confusione persistente
Come abbiamo visto nel semplice esempio riportato sopra, oggi ci sono tante informazioni che vengono messe a disposizione nel bene e nel male e le persone comuni, quelle cioè non abituate a filtrare le fonti di provenienza rischiano di prendere per buono tutto quello che la rete propone.
BIBLIOGRAFIA:
Su certe tematiche sarebbe importante un’alfabetizzazione certa che difficilmente passa dai blog o dai vari siti.
Affidarsi ad alcuni siti certificati, ad esempio, potrebbe mettere in sicurezza rispetto a raccogliere cose a destra e a manca. Se non c’è professionalità dietro i contenuti si rischia di confondere molto le persone e questo è accaduto alla mamma di cui sopra. Aveva digitato alcune parole chiave come “bambina che si veste da maschio” e sono usciti alcuni siti che presentavano la disforia di genere.
Ecco che parte l’allarme dettato dall’ansia. Per fortuna la signora si è fatta aiutare, ma quanti lo fanno? La confusione regna sovrana, così capita di confondere il gender fluid con la disforia di genere, l’omosessualità con il transessuale e viene tutto buttato in un calderone. Del resto, non è facile giostrarsi dentro le definizioni di oggi LGBTQIA+ 1, ovvero l’insieme delle minoranze sessuali.
La disforia di genere è una patologia seria e va trattata con tutto riguardo rivolgendosi a centri specializzati dove il bambino o l’adolescente viene preso in carico assieme alla sua famiglia per comprendere effettivamente la portata della situazione.
Ma impariamo a discernere e a non fidarsi troppo della rete.
- Anna Oliverio Ferraris, La costruzione dell’identità, Bollati Boringhieri, Milano, 2022
- Osservatorio Nazionale Identità di Genere (ONIG). Standard sui percorsi di affermazione di genere nell’ambito della presa in carico delle persone transgender e gender nonconforming (TGNC). https://www.onig.it/node/19
1] Negli anni Ottanta del Novecento, si iniziò a utilizzare la formula GLB, poi LGB, per nominare le lesbiche e le persone bisessuali accanto agli uomini gay. A partire dal decennio successivo, si aggiunsero poi le altre lettere: la T per le persone transessuali e transgender (da donna a uomo e da uomo a donna), una o due Q per le soggettività queer e/o gender questioning, la I per le persone intersessuali, la A di asessuali, e infine il + per segnalare come l’elenco possa proseguire con altre espressioni del genere e della sessualità (persone gender fluid, gender queer, gender creative, non-binarie, pansessuali, demisessuali ecc.).