Ho seguito alcune lezioni del professor Lancini sulla psicopatologia degli adolescenti. C’è un disagio molto diffuso che appartiene sempre più alle nuove generazioni. La fatica dell’adolescente è quella di collocarsi non solo dentro un mondo che non è a loro misura ma anche dentro un mondo che sta remando loro contro.
L’atteggiamento adulto – sottolinea Lancini – fa sì che i più giovani siano continuamente strappati da un lato dal superamento delle tappe evolutive e dall’altro dalla richiesta genitoriale.
Genitori confusi, incapaci di avere una linea educativa coerente, più volte eccessivamente affettivi e affettuosi e sempre meno normativi.
Ne deriva che l’adolescente non ha più spazio per fare quello che la sua età richiede: cercare di tagliare il legame parentale per percorrere la strada dell’identificazione e scoperta di sé.
Alla domanda Chi sono? Subentra la paura di non saper dare una risposta.
È sempre stato così – direte voi – ma io dico NI.
È sempre stato difficile per un adolescente rispondere a quella domanda, in tutte le epoche si sono visti i vecchi o comunque i grandi adulti scrollare il capo di fronte alle idee dei giovani, di fronte alle richieste o all’impellente voglia di cambiare il mondo.
C’era la convinzione di poterlo fare, di soppiantare i grandi, di ribaltare il sistema, di fare cose nuove in nome della giovane età.
Oggi rispondere a questa domanda è sempre più complesso, uno perché fanno enorme fatica a intravedere una strada scritta per loro. No solo la scelta di una scuola o di un lavoro, a livello globale non hanno fiducia nel mondo, hanno il terrore della parola futuro e insistono a dire che il futuro è oggi. E l’oggi non piace.
Altra difficoltà è data dall’incapacità di recidere il cordone con la famiglia d’origine, hanno il timore di ferire la mamma o il papà, hanno paura di deludere, di far soffrire.
Guardando indietro nel tempo non si trova una generazione di adolescenti che teme di ferire i grandi, anzi, c’era quasi una sorta di sadica cattiveria che insisteva proprio per fargliela pagare agli adulti.
Oggi gli adulti sono troppo simili ai più giovani e pretendono da questi ultimi di farli aderire a un loro modello precostituito.
Lancini lancia strali contro chi pretende nei confronti degli adolescenti comportamenti che vanno in netta contrapposizione con quanto insegnato o consentito fino a quel momento.
Mi sento di citarlo quasi letteralmente quando sottolinea che è inutile impedire all’adolescente di usare gli smartphone se fino a pochi anni prima erano i genitori a farlo diventare protagonista e attore dei loro device. Tipico l’esempio della madre che toglie lo smartphone al figlio adolescente perché va male a scuola ma fino all’anno prima lo stesso era fotografato, postato, ha vissuto dentro la vita onlife della sua famiglia.
Anche io nel lavoro con i miei genitori sottolineo la consapevolezza (o meno) adulta nel corretto utilizzo delle nuove tecnologie.
Come si fa a proibire quando si è allevata la prole a selfie e videochat o DAD?
Tornando al tema iniziale, è la fragilità degli adulti a mandare maggiormente in TILT i ragazzi e le ragazze. Adulti che sono sempre più insicuri, impanicati, dubbiosi e scontenti, rassegnati. Adulti che pretendono quello che i figli non possono dare, che mettono al centro la propria figura convinti che il figlio o la figlia possa capire i loro casini, stati d’animo, difficoltà, insicurezze.
Non potremo avere adolescenti sufficientemente “normali” finché non avremo adulti consapevoli che sappiano curare se stessi e soprattutto costruire una vita, un mondo in grado di chiedere con coerenza ai più giovani qualcosa che loro possano effettivamente dare.