Articolo del 23 aprile 2023

MATERNAGE E ADOLESCENZA, UN FENOMENO IN AUMENTO?

Quando parliamo di maternage, parola francese che significa maternità, insieme delle cure materne, pensiamo subito al neonato o comunque al bambino molto piccolo. Le prime cure materne sono necessarie al bambino e anzi quando vengono a mancare o a fronte di problemi della mamma nella capacità di curare adeguatamente il suo bambino, si parla di difficoltà piuttosto serie che il bambino si porta dietro per tutta la vita.
Donald Winnicott, pediatra e psicologo che più volte ho citato anche su questo blog, parla di “madre sufficientemente buona”, quella persona che nelle prime fasi dello sviluppo infantile sa adattarsi alle necessità del neonato consentendogli di costruirsi una personalità unitaria. Quando viene a mancare questo buon maternage si può incorrere in disturbo dell’attaccamento primario con conseguenze serie per la salute psicofisica del piccolo.
In psicologia si utilizza il termine “maternage” per curare determinate psicosi 1 o addirittura casi di schizofrenia1, dove il paziente regredisce fino al momento in cui si verifica la discontinuità dello sviluppo e il terapeuta di ritrova a ricoprire un ruolo materno atto a soddisfare il bisogno di cura del suo assistito. A quel punto il paziente può ricostruire la sua personalità.
Dunque, maternage in prima infanzia o come tecnica utilizzata dai terapeuti.
L’adolescenza dovrebbe vedere un deciso ritiro delle madri, il codice materno di Franco Fornari, quello che preveder l’accudimento, la cura, la protezione dovrebbe man mano lasciare spazio al codice paterno, quello che prevede la possibilità di attivarsi prendendosi piccole responsabilità, sviluppando autonomie e affrontando con coraggio la vita.
Il maternage prolungato rischia di mettere in seria difficoltà lo sviluppo del ragazzo o ragazza. Spesso ci chiediamo come mai i nostri adolescenti sembrano senza nerbo, sono mosci, rassegnati, poco propensi a buttarsi nella mischia, adagiati sul divano con il loro smartphone, si crogiolano dentro un mondo comunque comodo, con la mamma che pensa a tutto.
L’adolescenza dovrebbe essere l’epoca delle passioni tristi3 da un lato e della rivoluzione e trasgressione dall’altro. Un maternage esteso continua a far sentire piccoli, a percepirsi bisognosi di cure e dunque a non attivarsi per imparare a stare al mondo. La madre devota, cito qui Claudio Riva, 4 va bene fino al primo anno di vita, quando rimane devota fino a 14/15 anni il figlio ritiene di poter fare ciò che vuole di lei, la comanda a bacchetta, mantiene quel legame che tutto agisce meno che la crescita. O meglio, la crescita avviene ma spalmata sulla condivisione e condiscendenza materna. A questo punto, che fare? Io dico sempre che è necessario una maggior attivazione dei padri. I padri non possono riconoscersi nell’evaporazione, rassegnarsi a non contare perché la madre sa sempre cosa va bene fare. Una maggior attivazione significa una capacità di dialogo tra adulti, prima di tutto, e poi una scelta educativa consapevole per aiutare i figli a crescere per davvero.

1] Racamier, nel 1956, utilizzò il termine per indicare una tecnica di psicoterapia delle psicosi, volta a creare con il paziente, sia sul piano della realtà sia su quello della realizzazione simbolica, una relazione simile a quella tra una buona madre ed il suo bambino.- https://www.psiconline.it/le-parole-della-psicologia/maternage.html
2] Sechehaye proponeva il maternage come la “terapia elettiva” della schizofrenia (www.psiconline, op cit)
3] Benasayag M., L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Milano, 2004
4] Riva C., Il calice e la spada, La meridiana, Molfetta, 2022