Articolo del 28 maggio 2023

EDUCARE È SCEGLIERE QUALE STRADA PRENDERE

Mi scrive una signora che chiamerò Chiara, mamma di una ragazzina che sta crescendo e sta entrando nella feconda età della preadolescenza. Dico feconda perché la preadolescenza è un’età particolarmente creativa, spumeggiante, grintosa ma anche estremamente faticosa. Per i ragazzi soprattutto, ma un po’ anche per le famiglie.
Il preadolescente e la preadolescente fanno molta fatica a trattenere l’aggressività verbale, comandano, pretendono, alle volte si incavolano perché sono convinti di non essere capiti. È sacrosanto, hanno ragione, non è facile capire quel periodo che per un genitore è molto lontano tanto che rammenta qualcosa ma non molto della sua esperienza, perché si è portati a ricordare di più quello che accade in adolescenza, all’epoca delle scuole superiori dove il pensiero è più strutturato e le proteste contro il mondo adulto sono belle toste. Il preadolescente non è più un bambino ma molti suoi atteggiamenti lo sono, ci sono ritorni di fiamma ad esempio per qualche peluche, il desiderio di essere coccolato, magari finire nel lettone dei genitori ma…solo e soltanto se ne ha voglia lui o lei. Se il genitore malauguratamente accenna a un abbraccio ecco che il figlio si ritira pensando subito che i grandi non possono trattarlo come un bambino piccolo.
Il preadolescente è convinto di sapere sempre cosa va bene per lui/lei, mamma e papà non capiscono niente. Mamma e papà pensano solo alla scuola, a proibire cose, a mettere orari, a chiedere di dare una mano in casa, a non farti usare i social e via di questo passo.
Chiara nella sua comunicazione sottolinea di essere molto delusa, dice di aver ragionato tanto su come educare sua figlia ma di avere la sensazione di star sbagliando tutto.
Lei ha avuto una storia particolare con la sua di madre e per questo ha fatto con la figlia l’esatto contrario di quello che ha subito.
La madre non la ascoltava, era capace solo di proibire e ordinare, non aveva un minimo di attenzione per i suoi bisogni e ignorava le richieste della ragazza. Chiara ha giurato a sé stessa che, nel momento in cui sarebbe diventata madre avrebbe concesso tutto a suo figlio, sarebbe stata attentissima a ogni minima richiesta e non avrebbe trascurato nemmeno un dettaglio.
Diventata madre è esattamente quello che ha fatto, si è comportata all’opposto di sua madre, ha concesso molto, ha ascoltato, ha lasciato fare, ha chiesto sempre alla bambina di scegliere e oggi la figlia è impossibile, considera la madre poco più che uno zerbino e fa quello che vuole.
Chiara si sente una fallita, ha dunque sbagliato tutto?
No, semplicemente ha agito ascoltando solo il suo io bambino, ha agito emotivamente non considerando una cosa fondamentale: l’educazione ricevuta riguarda lei e non sua figlia.
Un figlio non è mai la proiezione di noi stessi, non ha i nostri stessi bisogni ma i suoi, originali e unici. Noi non siamo i nostri genitori e il figlio non è un “noi” in miniatura.
L’errore educativo più grande che possiamo fare è quello di rovesciare completamente quello che si è ricevuto, questo impedisce di guardare realmente la realtà e capire effettivamente di cosa possa aver bisogno il figlio.
Altra cosa importante, l’educazione di un figlio non deve riguardare solo la madre o solo il padre, le storie vissute dai genitori dovrebbero diventare sempre materiale di scambio, argomento di conversazione; dovrebbe scatenare domande per poi cercare risposte, insieme.
La coppia genitoriale dovrebbe trovare un modo originale di rapportarsi al figlio, unico come unico è il figlio perché generato da due persone che hanno vissuto una loro storia e proprio grazie a quel vissuto possono scegliere quali errori evitare e che cosa tenere di buono.
Insieme.
Dunque, fare il contrario di quello che si è vissuto non è detto che sia la cosa giusta per il figlio, avere consapevolezza di ciò che non è andato bene per noi, invece, è un buon punto dipartenza per cercare la via giusta dell’educare.