Articolo del 2 maggio 2018

La banalità di una penna, la fatica di una meditazione

Studiare senza riflettere è inutile, meditare senza studiare è pericoloso.

Confucio, Massime di saggezza, (a cura di Paolo Santangelo), Newton Compton, 2014


Attivata dalla proposta di meditazione sulla penna ho provato a fare la “brava allieva” e mi sono predisposta al meglio. Liberata la scrivania da tutto quello che potenzialmente mi poteva distrarre, ho preso la penna e l’ho messa al centro del piano. Ho iniziato ad osservarla: la superficie liscia, la punta che scompare all’interno del fusto, la marca incisa sul lato.
Cose oggettive, banali, è una penna consueta, che porta traccia della mia impugnatura, un po’ scolorita dove le dita la tengono nel gesto dello scrivere.
Mi pareva di essere entrata nell’esercizio, osservavo con sufficiente distacco quando il fiorellino posto all’apice del fusto ha scatenato la scimmia impazzita. Alla faccia delle analogie proustiane! Tutta la mia concentrazione si è vitalizzata in un nanosecondo e la mente è volata lontano, a quella prima penna della stessa marca regalatami dal mio uomo un sacco di anni fa. E via alle emozioni di quel momento, alla luce che irradiava da una finestrella una giornata di giugno di vent’anni fa.
Ho fatto fatica a riportare in qua l’attenzione, uno sforzo quasi fisico.


Ritentare e non demordere

Ho respirato con calma, cercando di portare nuovamente l’attenzione su questo oggetto, ho provato a concentrarmi utilizzando il respiro, è uno strumento efficace in molte circostanze. Togliere ogni giudizio, acuire la neutralità dell’osservazione e tentare di mantenere il qui e ora. Qui su questa scrivania c’è una penna blu.
Uso il tatto per percorrere la superficie liscia, quella piccola scanalatura a livello della maraca, il colore un po’ stinto. Cerco di coltivare la pazienza non stancandomi di osservare e basta. Riesco a rimanere concentrata per un po’, riesco ad isolarmi anche acusticamente. Sento dei suoni lontani ma non interferiscono, non mi appartengono. Sono qui e riesco a focalizzare i miei sensi su questa penna blu. Non esiste nulla al di fuori di questo, fino a che, dopo un microsecondo mi appare davanti agli occhi una quadernetto per gli appunti.
Non c’è, lo ha generato la mia mente abituata a quell’uso quotidiano. La mia penna che giorno dopo giorno registra pensieri, sensazioni, storie. La mia penna che dà voce alla mia anima, che crea personaggi e storie, stimola e viene stimolata dal mondo delle idee. Fallimento totale.


Cambiare penna?

Desisto e sento una fatica che si localizza a livello delle tempie. Prendo in mano la penna e ho la sensazione che scotti o forse è il mio desiderio trasferito su di lei che la fa scottare. Per quanto io ci abbia provato, l’ardore per la scrittura ha prevalso sul mio tentativo di meditare.
Cambio penna.
Ripongo la mia preferita e ne prendo un anonima. Ripercorro la via dall’inizio, mi preparo con una bella respirazione, tolgo le tensioni che ho accumulato con una serie di sospiri, mi accomodo sulla mia sedia e cerco di percepire bene gli appoggi. Creo una condizione ottimale e riparto con la concentrazione.
Ripercorro la strada prima toccando poi osservando e rimango lì nel tentativo di banalizzare l’oggetto, di osservarlo senza provare emozioni, di guardarlo e basta. Funziona per un certo tempo, non molto lungo perché comunque faccio molta fatica a non abbinare questo oggetto alla sua funzione. La mente è davvero una scimmia impazzita.
Ho un compito, far diventare la mia penna una banalissima penna, solo allora potrò dire di essere in grado di meditare. O iniziare a meditare.
Se si vogliono veramente raggiungere degli obiettivi, la fatica più grande non è fuori di noi ma dentro la nostra testa. Ma…ce la posso fare! Magari riprovo con l cucchiaino e una volta allenata riprendo contatto con il mio bel nemico blu pieno di tante belle storie d raccontare.