No, non voglio parlare di neonati messi davanti ad uno smartphone, spero sempre che ciò non accada anche se a volte capita di vedere un bambino molto piccolo con il telefonino in mano, catalizzato dal piccolo schermo luminoso.
Vorrei approfittare di una recente ricerca condotta dall’Università di Pavia(¹) per puntare l’attenzione, una volta in più, sul comportamento adulto.
Si parla di dispositivi digitali continuando a puntare il dito sugli adolescenti, si fanno campagne per proibire il loro uso al di sotto dei 14 anni (ho partecipato anche io alla campagna), si vorrebbe portare a 16 anni l’utilizzo dei social. Tutto questo va bene ma non si fa abbastanza per tutelare i bambini. Non si fa abbastanza come adulti, sono gli adulti a non riuscire a fare a meno dei social, ad essere costantemente connessi, a crearsi un mondo che sta molto più all’interno che all’esterno del videoschermo. Come spesso mi sono espressa, considero il mondo digitale una grande risorsa, il mio lavoro stesso si svolge grazie a un videoschermo e la mia ricerca passa spesso attraverso le banche dati fornite da siti scientifici messi a disposizione dei ricercatori ma…la consapevolezza che questi dispositivi possono fare danni a chi non ha l’età per poterli utilizzare, questo sembra non arrivare alle orecchie dei più.
Esporre i più piccoli alle nuove tecnologie, lo abbiamo detto mille volte, è dannoso sia fisicamente che psicologicamente, ma io vorrei andare ancora più in là. Mi sono battuta contro l’abitudine di postare foto di minori sui social, l’immagine corporea è importante e va tutelata fin dalla gestazione. Quante ecografie sono messe in circolo? E come spesso mi capita di dire, senza chiedere al diretto interessato – il feto – se è d’accordo. Non lo può fare, ovviamente, ma questo è rispettarlo?
Tornando alla riflessione sulla ricerca dell’Università di Pavia, tratta del nuovo tema, - la Technoference– l’interferenza della tecnologia nelle relazioni umane. In ambiente protetto sono state osservate 38 diadi mamma neonato e si è scoperto che le mamme mentre stanno assieme al loro piccolo che vivono anche brevi interruzioni dell’interazione con lui/lei, come quelle causate dall’uso dello smartphone, possono influenzare la qualità degli scambi affettivi tra genitore e bambino.
Dall’osservazione effettuata tramite la combinazione tra microanalisi comportamentale e termografia a infrarossi, “emerge un legame tra l’uso quotidiano più intenso dello smartphone da parte delle madri e una maggiore reattività fisiologica del neonato in occasione della distrazione digitale, accompagnata da una minore espressione di comportamenti affettivi da parte delle madri durante la fase di riunione”.
Per dirla in parole povere, più la madre è distratta da un videoschermo più il neonato vive un disagio e lo manifesta. Se penso a quante madri vedo allattare mentre scrolla uno smartphone mi vengono i brividi. Non sono esenti i padri ovviamente, perché anche somministrare un biberon guardando un videoschermo non è da meno.
Dunque, più che puntare il dito continuamente sugli adolescenti catturati dai loro smartphone sarebbe davvero importante intensificare la campagna educativa verso il mondo adulto. Tecnologia si, ma a servizio dell’uomo e non trappola dove vivere una vita “altra”.
(¹) La ricerca è stato pubblicato sulla rivista scientifica internazionale «Biological Psychology» (con il titolo “Hot stuff: Behavioural and affective thermal responses to digital and non-digital disruptions during early mother-infant interaction”) uno studio frutto della collaborazione tra il Dipartimento di Scienze del Sistema Nervoso e del Comportamento dell’Università di Pavia e l’IRCCS Fondazione Mondino.